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Giacomo Biffi: Sull'immigrazione estratti dell'intervento dell'arcivescovo di Bologna al Seminario della Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000
ACCETTABILITA' DEL FENOMENO MIGRATORIO
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è
accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi
seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione.
L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza
tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e
spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un
patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. Sotto
questo profilo, uno Stato davvero "laico" - che cioè abbia di mira non
il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle
donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di
governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro -
dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la
pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente
verificato nell'incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche
sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una
compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la
nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità. Bisogna
perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da
noi in modo definitivo "si inculturino" nella realtà spirituale, morale,
giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere
al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare
umanità della quale sono venuti a far parte.
LA CHIESA NON DEVE RISOLVERE NECESSARIAMENTE TUTTI I PROBLOMI SOCIALI
In primo luogo, deve essere manifesto a tutti che non è per sé compito
della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di
volta in volta ci presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non
devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze anche
imperiose che essi con le loro forze non riescono ad appianare. Sarebbe
un implicito, ma comunque intollerabile e grave "integralismo" il
credere che le aggregazioni ecclesiali e i cattolici possano essere
responsabilizzati di tutto. Qualche volta i malintesi sono
involontariamente propiziati dalle pubbliche autorità che, quando non
sanno che pesci pigliare, fanno appello alle nostre supplenze e
fatalmente ci coinvolgono (dando in tal modo implicito riconoscimento
che le organizzazioni ecclesiali sono tra quelle che in Italia riescono
ancora a funzionare).
Gli auspici per lo Stato e la società civile
E' incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbano
essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentano
non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo
quanto è richiesto dalla dignità umana. Gli organismi internazionali
sono sollecitati a farsi carico delle iniziative atte a conseguire
questa mèta e non possono perdere di vista questo necessario ideale di
giustizia distributiva generale; e tutto ciò vale - in modo
proporzionato e secondo le reali possibilità - anche per i singoli
stati. Ma non se ne può dedurre - se si vuol essere davvero
"laici" oltre tutti gli imperativi ideologici - che una nazione non
abbia il diritto di gestire e regolare l'afflusso di gente che vuol
entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere
di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere. Bisogna
piuttosto dire che ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento
suppone ed esige che gli accessi siano vigilati e regolamentati.
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